lunedì 17 aprile 2023

IL GEN. BERTOLINI: "SIAMO DI FRONTE AD UNA NUOVA POLARIZZAZIONE, CHE FARÀ MALE ALLA NOSTRA ECONOMIA E ALLA NOSTRA SICUREZZA, IN CUI LA NATO PURTROPPO SARÀ ANCORA PROTAGONISTA"




di Pietro Licciardi

-

IL GENERALE MARCO BERTOLINI SUL FUTURO DELL’ALLEANZA ATLANTICA NEI NUOVI SCENARI INTERNAZIONALI CHE SI STANNO APRENDO CON IL CONFLITTO RUSSO-UCRAINO E SU QUELLE CHE DOVREBBERO ESSERE LE NUOVE RESPONSABILITÀ DELL’ITALIA, IN AMBITO GEOPOLITICO E MILITARE





Il generale Marco Bertolini è stato comandante del 9° reggimento d’assalto “Col Moschin”, della Brigata paracadutisti Folgore, e successivamente a capo del Comando interforze per le operazioni delle forze speciali e del Comando operativo di vertice interforze, dal quale dipendono tutte le forze italiane impiegate in operazioni fuori area. E’ stato impiegato in Libano, Somalia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia – dove è stato Capo di stato maggiore della “Extraction Force” della Nato – e Afghanistan, dove nel 2003 ha comandato il contingente italiano. Nel 2009 è stato Capo di stato maggiore del Comando Isaf, sempre della Nato. Con riferimento alla crisi in Ucraina è coautore, col professore Giuseppe Ghini, del libro Guerra e Pace al tempo di Putin edito da Cantagalli.

Generale, la guerra russo-ucraina sembra aver riportato in auge la Nato, che secondo alcuni osservatori sembrava in crisi di identità Cosa è cambiato con questo conflitto?

«Direi che con questo conflitto siamo tornati all’antico. Inizialmente infatti la Nato aveva lo scopo di difenderci dal Patto di Varsavia ma nel 1989 il Muro di Berlino è caduto e questo ha portato alla disgregazione sia del Patto che della Unione sovietica, che ha perso parecchie delle sue repubbliche. Tra l’altro sia Gorbačëv, che Eltsin e anche Putin avevano dimostrato una certa attrazione verso l’Europa occidentale. Anche la Nato quindi ha modificato il suo schieramento: i britannici hanno ritirato l’armata del Reno e si sono ritirate dalla Germania pure le forze belghe e francesi oltre naturalmente quelle russe, tanto che in quel periodo si è cominciato a dire: a cosa serve la Nato? Poi però è arrivata l’epoca del terrorismo e le truppe dell’alleanza hanno cominciato ad essere impiegate fuori dal loro teatro operativo. Con la guerra in Ucraina l’Occidente a guida americana ha l’opportunità di riportare la Nato alla sua antica funzione: la difesa dal nuovo blocco euroasiatico».

La Gran Bretagna si è mostrata molto “atlantista” essendosi subito schierata al fianco degli Stati uniti nel sostenere l’Ucraina…

«Stati Uniti e Gran Bretagna sono ormai da molti punti di vista i paesi guida della Nato. Nei mesi scorsi abbiamo visto l’enfasi sul funerale della regina Elisabetta, quasi fosse stata la nostra sovrana. In effetti un po’ tutta l’Europa occidentale sente molto l’attrazione di questi paesi. Ne abbiamo quasi adottato la lingua e la religione essendo diventato il cattolicesimo molto più protestante di una volta. In ogni caso questa attrazione provoca dei cambiamenti anche dal punto di vista politico e non solo culturale».

A quanto pare si stanno profilando due nuovi blocchi: da una parte l’Occidente (Europa, Stati Uniti, Canada e Australia), dall’altra Russia e Cina mentre altri Paesi, come l’India, sembrano voler assumere una posizione più vicina al nuovo blocco eurasiatico pur conservando una certa neutralità. In questo nuovo scenario geopolitico come cambia il ruolo della Nato?

«Due blocchi esistevano di fatto da sempre: le potenze insulari e navali anglosassoni –Stati Uniti, Inghilterra, Australia, Nuova Zelanda, Canada – e il continente euroasiatico. Naturalmente l’Europa, specialmente quella occidentale, si colloca in maniera un po’ particolare aggiungendo alla dicotomia che ho appena citato anche la dicotomia tra Nato e oggi la Russia – essendo usciti dalla sua orbita gli ex paesi comunisti dell’Est – e il continente asiatico. Con la nuova situazione che si è creata la polarizzazione si è accentuata. La domanda faceva riferimento anche agli altri paesi come l’India. Ebbene, la Russia ha tutto l’interesse ad attrarli a sé sfruttando il suo valore aggiunto di essere una potenza continentale con grandi risorse e un esteso territorio. Inoltre la Russia per la sua posizione centrale può ben commerciare con India e Cina. In questa situazione il ruolo della Nato sostanzialmente non cambia e come dicevo prima torna all’antico, a quello che aveva con la Cortina di ferro, che a quanto pare si sta ricreando. Prima iniziava a Berlino, domani forse parleremo del “muro di Kyev”. Insomma siamo di fronte ad una nuova polarizzazione, che non farà bene alla nostra economia e alla nostra sicurezza, in cui la Nato purtroppo sarà ancora protagonista».

Anche il Mediterraneo sembra stia tornando ad essere un mare strategicamente “caldo”…

«Si dice spesso che l’asse geostrategico si stia spostando dall’Europa e dal Mediterraneo verso l’estremo Oriente; in parte è vero, considerate le tensioni che ci sono, ad esempio Taiwan, ma c’è poco da fare: è ancora in Europa che si concentrano gli interessi di tutti. E’ qui che si sta combattendo una guerra tra Stati Uniti e Russia. Gli Usa hanno l’interesse strategico a chiudere i russi fuori dal continente e dal Mediterraneo mentre è all’ Europa che punta la Via della seta cinese, che qui ha già alcune infrastrutture. Pensiamo ai porti del Pireo e Trieste, ma anche a tutte le nostre città in cui ci sono colonie cinesi radicate che a differenza di altre comunità continuano ad avere uno stretto rapporto con le loro autorità consolari e la madrepatria. Questo per confermare che Europa e Mediterraneo sono ancora il punto nevralgico di tutti gli equilibri mondiali»

In effetti sul Mediterraneo si affacciano ben tre continenti…

«Certo, su questo mare si affaccia una grande potenza in pectore in termini di risorse, che è l’Africa; una grande potenza culturale ed economica che è l’Europa e naturalmente il Medio Oriente, che è la porta di accesso verso l’Asia. Da questo punto di vista credo che nei prossimi decenni continueremo a vivere in un’area di grandi turbolenze».

In Italia le spinte contrarie alla Nato sono state e sono ancora forti; sarebbe possibile o realistica una uscita o, almeno, una “presa di distanza” dall’Alleanza?

«Credo il problema non si ponga. L’Italia non ha la forza per assumere un ruolo indipendente, ritirandosi in una sorta di splendido isolamento, e affrontando nel contempo emergenze economiche o militari come quelle che stiamo attraversando. Per poter uscire dalla Nato occorrerebbe una classe politica con ambizioni che non mi pare siano condivise da nessuno. Credo invece si ponga il problema di come noi ci rapportiamo con la Nato. La Turchia ad esempio ha il secondo esercito della Nato il che le attribuisce un ruolo importante. Anche la Francia è importante grazie alla sua force de frappe nucleare. Ebbene questi due paesi hanno interessi nazionali che prevalgono su tutto, anche sugli altri paesi dell’Alleanza, questo perché hanno la forza di farli valere. La Turchia ha sostituito l’Italia in Libia perché noi non abbiamo avuto la forza, la lungimiranza o il coraggio di fare qualcosa per salvare i nostri interessi. Ecco, per noi sarebbe importante avere quella forza politica, economica e militare per convincere gli alleati a farsi carico anche dei nostri interessi. Invece spesso non facciamo altro che aspettare che siano gli altri a dirci quali sono gli interessi per i quali ci dobbiamo battere. Ad esempio sarebbe un interesse legittimo fermare l’immigrazione incontrollata che arriva dal Nordafrica ma non abbiamo la forza affinché gli altri paesi europei e Nato ce lo riconoscano. In definitiva avremmo bisogno di far parte dell’Alleanza con maggiore determinazione e idee chiare sui nostri interessi e sul nostro ruolo. Non dimentichiamo che ci siamo noi al centro del Mediterraneo e in quest’area dovremmo poter dire la nostra, come sta facendo la Turchia. Ma per tutto questo occorrerebbe una classe politica un po’ più colta di quella che abbiamo fino a oggi espresso».

L’Italia, tra non poche polemiche, ha votato per portare la spesa per la difesa al 2% del Pil. L’attuale conflitto russo-ucraino sta dimostrando che in caso di un confronto tra eserciti moderni soldati e armi si “consumano” ad un ritmo impressionante. Ciò che gli Stati maggiori stanno apprendendo come influirà sugli assetti futuri della difesa in Italia e negli altri Paesi Nato?

«Gli stati maggiori non stanno apprendendo niente per il semplice motivo che lo hanno sempre saputo. E lo hanno sempre detto. Non hanno però mai trovato chi li ascoltasse o forse hanno avuto troppe remore a farlo presente ma è certo che in Italia non c’è mai stata attenzione nei confronti delle Forze armate. L’esigenza del 2% le Forze armate l’hanno sempre sentita perché fino ad oggi il grosso della spesa era per lo più assorbito dalle spese incomprimibili del personale. Non è infatti pensabile sacrificare i legittimi interessi, peraltro da contratto, del militare perché non ci sono soldi e così si finiva per ridurre le spese di addestramento e investimento. L’addestramento è fondamentale perché le Forze armate non servono a fare la guerra ma a prepararsi a farla sperando di non farla mai. Per questo però bisogna sparare, arrampicarsi in montagna, volare… Tutte cose che costano e che spesso non potevamo fare, magari anche impediti dai sindaci, perché i carri armati fanno rumore o le servitù militari danno fastidio, anche se hanno salvato grandi porzioni di territorio dalla cementificazione. In Ucraina si stanno sparando centinaia di migliaia di colpi di artiglieria ma i proiettili e i missili non crescono sugli alberi; per farli ci vogliono soldi. Forse l’unico aspetto positivo dell’attuale situazione è che siccome la paura fa 90 si riesce a far passare l’idea che le Forze armate devono avere almeno il 2% del Pil. Ma questa è anche una dimostrazione di ipocrisia perché solo quando ne abbiamo bisogno ci pieghiamo di fronte alla realtà. Tra l’altro la guerra in corso è aperta a tutto e se malauguratamente si arrivasse al peggio non possiamo dire ai tedeschi o ai francesi: andate voi. In prima linea ci siamo anche noi italiani e senza uno strumento adeguato andrà molto male».

Il Ministro Salvini sembra favorevole al ripristino del servizio di leva. Secondo lei è una ipotesi utile, fattibile e a quali condizioni?

«Diciamo che condivido della proposta una motivazione di carattere educativo. E’ vero che le Forze armate non devono sostituire nell’educazione la scuola e la famiglia per raddrizzare una gioventù che ormai ha bisogno di essere raddrizzata; però è vero che sapere che si è in debito nei confronti del proprio paese di un anno della vita ha fatto si che generazioni di italiani sentissero un dovere nei confronti della collettività. Se oggi i doveri sono stati dimenticati, sostituiti dai diritti, anche i più fantasiosi e assurdi, forse è anche a causa della caduta educativa che le Forze armate, ma non solo, hanno smesso di contrastare. Dovremmo poter nuovamente iniettare nei giovani la consapevolezza che loro devono qualcosa alla società, la quale non è semplicemente la mammella alla quale attaccarsi per succhiare diritti ma che anche a loro si chiede un sacrificio per il bene comune. Tuttavia da un punto di vista operativo non possiamo fare a meno di un esercito professionale, considerata la complessità degli strumenti e delle armi a disposizione che non possono certo essere usati da un militare con appena dodici mesi di leva. I professionisti però devono essere giovani, perché un fuciliere o il portamunizioni sono ruoli per gente giovane e non certo per un cinquantenne o magari sessantenne, se i soldati dovessero andare in pensione come gli altri statali. La leva potrebbe semmai risolvere un problema importante: costituire una riserva, che non abbiamo più. La riserva infatti si costituisce con chi esce dalla forza armata ma se si deve rimanere fino alla pensione, ai pochi che escono tocca non un fucile ma un bastone da passeggio. E comunque per avere un servizio di leva occorre anche tutto un apparato, dai distretti militari agli ospedali militari sul territorio, che ormai è stato smantellato e che sarebbe costoso ricostituire».

La coesione Europea sta scricchiolando. In caso di forte indebolimento dell’Unione con quali paesi l’Italia si dovrà confrontare per non diventare marginale sul piano internazionale? E anche per difendere le sempre più preziose riserve energetiche, come i giacimenti di gas in Adriatico…

«Ha già nominato alcuni paesi coi quali ci dovremmo confrontare. Ad esempio la Croazia, che continua ad estrarre gas dall’Adriatico e forse anche dalla nostra zona economica esclusiva. Ci sono anche giacimenti in Libia. Ci dovremmo confrontare non so quanto amichevolmente anche con la Turchia che adesso si è insediata in quel Paese. L’Unione europea è la grande assente di questa fase storica e i suoi paesi membri ormai hanno come riferimenti gli Stati Uniti e la Nato; però resta il fatto che siamo noi a pagare quello che sta succedendo e parecchi paesi si stanno smarcando facendo leva sulla loro forza. Noi italiani siamo costretti o a trovare altri fornitori o a rigassificare gas che viene chissà da dove obbedendo alle leggi di mercato, per cui se una nave deve arrivare in Sicilia ce la possiamo ritrovare in Germania perché durante il percorso è stato proposto all’armatore un prezzo migliore. E’ una situazione che non ci fa comodo e che intaccherà il nostro stile di vita, il quale non è più un diritto acquisito. Ma quale sarà il punto di arrivo di questa situazione? Se sarà una nuova cortina di ferro europea credo che ci andremmo a perdere tutti quanti».

Sembra di capire che comunque vada uno strumento militare un po’ più efficiente e credibile non farebbe male all’Italia…

«Sarebbe essenziale. L’Italia come dicevo prima si trova al centro del Mediterraneo che non è una mare “peace and love” ma è in continua ebollizione in cui si incrociano navi americane, russe, francesi… nel quale c’è un traffico da Gibilterra a Suez strategico per tutti i paesi del mondo. Per poter galleggiare su questo mare l’Italia deve essere forte politicamente, culturalmente, economicamente e militarmente, se non vuole ridursi a portare le armi degli altri perché c’è poco da fare: quelle attorno a noi sono tutte aree di crisi, dai Balcani, al Nordafrica, al Medio Oriente».

Per concludere un suo parere da professionista sull’attuale offensiva Ucraina. Siamo di fronte ad una vera svolta del conflitto o è l’estremo tentativo ucraino di dimostrare alla Nato e agli americani che ancora possono combattere? I russi da parte loro sono veramente in rotta come sembra?

«Onestamente devo ammettere che non mi aspettavo una controffensiva ucraina così potente nel nord. Mi aspettavo si approfittasse della situazione a Kerson, dove i russi erano in condizione di maggior debolezza. Sorprendente che i russi non avessero informazioni nonostante in Ucraina vivano molti russi e russofoni. Tuttavia io non credo sia possibile una sconfitta russa, ovvero la perdita del Donbass e della Crimea poiché soprattutto qui la Russia si giocherà tutto, anche perché a Sebastopoli ha la flotta del Mar Nero. Non sono neppure convinto che le operazioni si fermeranno in autunno e inverno perché sia i russi che gli ucraini sono abituati a combattere nei mesi più freddi. Probabilmente vedremo la guerra andare avanti chissà per quanto ed è proprio la prospettiva che ci deve preoccupare di più: avere un Afghanistan europeo in Ucraina. Si tratta di una guerra non nostra e dove a mio modesto parere non si doveva entrare, anche peggio se insistessimo nel volerla combattere».

Nessun commento:

Posta un commento