sabato 15 aprile 2023

AFRICA, NON SONO GLI UOMINI BIANCHI LA CAUSA DEL SUO SOTTOSVILUPPO MA CORRUZIONE, SUPERSTIZIONI E TRIBALISMO



di Pietro Licciardi

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LA PROF. ANNA BONO: "MOLTI SOLDI DEGLI AIUTI SPARISCONO, CERTI GOVERNI SONO VERAMENTE CORROTTI". CIRCA IL CONTROVERSO MONDO DELLE ONG, "QUELLE CHE SI FANNO 'GOVERNARE' DALLE IDEOLOGIE PRODUCONO DISASTRI"


Anna Bono è nel comitato scientifico della rivista Africana e nel comitato scientifico del Centro relazioni con l’Africa della Società geografica italiana. È stata ricercatore in Storia e istituzioni dell’Africa presso il Dipartimento di culture, politica e società dell’Università di Torino fino al 2015. In precedenza, dal 1984 al 1993, ha soggiornato a lungo in Africa svolgendo ricerche sul campo sulla costa swahili del Kenya. Attualmente collabora con diverse testate, per lo più cattoliche, scrivendo di Africa, relazioni internazionali, problemi di sviluppo, cooperazione internazionale, ed emigrazione. Ha scritto oltre 2.300 articoli, saggi e libri scientifici e divulgativi

Probabilmente tutti hanno sentito parlare delle Ong, in occasione di guerre e calamità naturali. Qui in Italia sono spesso citate nei telegiornali perché sono loro ad armare e gestire le navi che scaricano clandestini a getto continuo nei nostri porti. Ma cosa sono le Organizzazioni non governative? Cosa le muove? Sono tutte organizzazioni benemerite Lo abbiamo chiesto alla professoressa Anna Bonoche le Ong le conosce molto bene. Ma prima le abbiamo chiesto di parlarci un po' dei vari problemi del continente africano.

Professoressa, nel nostro immaginario collettivo l’Africa è un continente in perpetuo sottosviluppo eppure ha ricevuto un fiume di soldi sottoforma di aiuti da parte dell’Europa e dell’Occidente in generale dagli inizi degli anni Sessanta, epoca in cui ha cominciato a chiudersi l’epoca coloniale, ad oggi. Perché l’Africa non riesce a sollevarsi?

«Il flusso di risorse finanziarie, umane e tecnologiche destinate all’Africa già prima dell’epoca delle indipendenze è immenso e inesauribile e ammonta a miglia di miliardi di dollari riversati in un progetto globale chiamato cooperazione internazionale allo sviluppo ma uno dei problemi di questo incessante flusso è che una buona parte di questi soldi non vanno a buon fine perché vengono sprecati o dirottati altrove. Una forma di cooperazione che assorbe una quantità infinita di denaro è la cooperazione che si occupa delle emergenze umanitarie – pensiamo ad esempio alla Somalia in cui in questo momento c’è carestia – poiché in questi casi si devono consegnare denaro e aiuti ad un governo pur mettendo in conto che la gran parte di questi prenderanno altre strade e questo perché anche quel poco che arriverà salverà comunque delle vite».

Ricordiamo che quando Stati Uniti e Italia con l’operazione Ibis intervennero in Somalia nel 1992 lo fecero anche perché gran parte degli aiuti internazionali destinati alla popolazione erano invece in mano ai signori locali della guerra che li gestivano con criteri tutt’altro che umanitari

«Ma questo vale non solo per la Somalia ma anche per altri paesi africani. Là dove vi sono guerre civili o dilaga la jihad islamica i convogli di aiuti per raggiungere la popolazione devono pagare pesanti pedaggi alle forze che controllano i territori attraversati. Questo accade di continuo e pone dei problemi morali gravi perché in questo modo si finanziano proprio quei gruppi armati responsabili delle emergenze sulle quali si vorrebbe intervenire. Pensiamo all’est del Congo, dove sono attivi decine di gruppi armati che vivono di rapine e saccheggi ma anche degli aiuti internazionali che riescono a sottrarre».

Quindi solo una piccola parte degli aiuti che mandiamo arriva a destinazione?

«A volte ne arrivano tanti, a volte pochi. Quando lavoravo sulla costa del Kenya mi capitava di entrare in un negozio dove vendevano del riso italiano che faceva parte degli aiuti alimentari mandati dal nostro governo magari alla Somalia, dove già allora la popolazione era alla fame a causa della guerra».

Non appena si parla di Africa scattano subito i sensi di colpa del tipo: uomo bianco colonialista e sfruttatore. Cosa c’è di vero? E’ veramente tutta colpa di noi bianchi ed europei se l’Africa è ancora così arretrata?

«La fase coloniale europea è stata molto breve ed è terminata negli anni Sessanta del Novecento. Da quel momento in poi ciò che accade in Africa è responsabilità degli africani, popoli e governi. La colonizzazione aveva sicuramente lo scopo di mettere a frutto le risorse di quel continente e sicuramente laddove è stata violenta ha indiscutibilmente fatto dei danni. Ma ricordiamoci che l’Africa prima della colonizzazione europea ha subito una colonizzazione ben più devastante in termini di vite umane e di sconvolgimento sociale che è stata quella arabo-islamica iniziata subito dopo la morte di Maometto».

Gli europei però hanno introdotto la schiavitù…

«No, perché la schiavitù esisteva già. I primi trafficanti di africani sono stati gli arabo-islamici, che si stima abbiano deportato e venduto più o meno lo stesso numero di persone della tratta atlantica. Ma il loro commercio è durato molto di più. E dobbiamo anche considerare che gli schiavisti arabi acquistavano a loro volta dalle stesse tribù africane uomini, donne e bambini razziati nelle incessanti guerre tribali che insanguinavano il continente. Ci sono state zone dell’Africa, quelle più interne, depauperate di centinaia di migliaia e forse milioni di persone ma anche altre zone, per lo più costiere, in cui la tratta degli schiavi è stato il motore dello sviluppo e della crescita economica. Consideriamo anche che la schiavitù non è del tutto scomparsa in Africa. Ci sono paesi come la Mauritania in cui è ancora un fenomeno presente e se la tratta atlantica è cessata nei primi anni del Novecento quella arabo-islamica è proseguita. In Sudan ad esempio l’etnia arabo-islamica al potere nel nord prima che il sud prevalentemente cristiano diventasse indipendente vi compiva razzie di donne e bambini per ridurli in schiavitù».

Ma capita di leggere di tanto in tanto sui giornali che anche nei ricchi emirati arabi qualche volta domestiche filippine sono fatte lavorare in condizione di semischiavitù…

«Non solo ma anche etiopi e somali che vanno là per lavorare e trovano condizioni simili a quelle della schiavitù. Ma tornando al discorso: si. La colonizzazione europea è stato un fenomeno invasivo e violento ma dobbiamo anche considerare quello che ha portato e questo non per assolvere noi europei ma per raccontare i fatti. Basterebbe considerare che ha introdotto in Africa un valore fondamentale come l’idea che esistono dei diritti umani universali e inviolabili. In verità molto prima dei colonizzatori hanno cominciato a farlo i missionari anche se con risultati minimi dato i loro scarsi mezzi. E’ stata la colonizzazione a permettere loro una maggiore efficacia, se non altro perché potevano muoversi senza essere ammazzati».

Sono così importanti i diritti umani?

«Noi siamo talmente abituati a pensare che vi sono diritti umani inviolabili, con tutto quello che ne consegue in termini di sicurezza per la nostra vita e integrità fisica, che stentiamo a immaginare come sia vivere dove non si conosce l’esistenza di tali diritti. Garantisco che in tutti i miei anni di studi e ricerche se c’è una cosa che ho imparato è che l’introduzione di principi come l’intangibilità della persona umana è il contributo migliore che si può dare. Del resto chi accusa la colonizzazione europea lo può fare proprio perché ha acquisito questi principi fondamentali».

L’altra accusa è che l’uomo bianco e le multinazionali hanno depredato e ancora depredano l’Africa delle sue risorse…

«Oggi non esce dall’Africa un solo barile di petrolio, un solo sacco di cacao, un solo diamante senza essere pagato. Il problema è a chi viene pagato e cosa ne fa di quel denaro. L’occidente fa affari coi governi africani ma in quei governi ci sono persone che si intascano per sé il denaro invece di versarlo nelle casse dello Stato».

Secondo la sua esperienza quali sono i principali motivi del mancato sviluppo del continente africano, nonostante la sua ricchezza di materie prime, ancora abbondanti a dispetto della depredazione fatta, secondo alcuni, dagli europei?

«Su questo non ci sono dubbi: sono fattori interni al continente e sono essenzialmente il tribalismo, cioè la conflittualità etnica che continua ad essere una costante della storia dell’Africa, e la corruzione alla quale abbiamo accennato e che è dilagante a tutti i livelli e posizione sociale, dai vertici fino all’ultimo uscere e impiegato di un ufficio. Anche papa Francesco ha denunciato questa realtà quando è tornato dal suo viaggio in Africa. Un altro fattore è anche la superstizione, che fa pensare agli africani che non sia la buona volontà, l’intelligenza, la perseveranza nel lavoro… a risolvere le situazioni ma che ci sia un fattore come la stregoneria a determinare certi esiti. La conseguenza è la demoralizzazione e demotivazione all’impegno, anche perché chi emerge rischia di essere accusato di aver fatto ricorso alla magia, con conseguenze anche drammatiche».

Gli africani, non tutti in verità, sembrano aver sviluppato un vero e proprio odio nei confronti dei bianchi europei. Siamo stati veramente così cattivi con loro o qualcuno ha voluto soffiare sul fuoco? Penso ai movimenti di liberazione che durante la Guerra fredda sono nati come funghi finanziati, addestrati e indottrinati dai sovietici.

«Siamo noi stessi a dare dell’Occidente una immagine del tutto negativa, dipingendoci come causa di tutte le disgrazie, soprattutto di quelle africane, e penso che sia stato prima di tutto questo fronte interno ad aver aizzato gli africani. Tra l’altro è un paradosso perché spesso proprio chi, grazie alle risorse messe a disposizione dall’occidente si reca in Africa per realizzare progetti di cooperazione allo sviluppo o per emergenza umanitaria, è imbevuto di questa ideologia antioccidentale e la propaga. Credo che nella storia umana sia un caso unico, perché non mi viene in mente alcuna altra civiltà che abbia avuto al suo interno così tanti detrattori. Inoltre questa narrazione fa buon gioco ai governi africani i quali eccellono nel riversare su altri la responsabilità di quello che nel loro paese non funziona. Adesso nel mirino ci sono, specialmente in Nord Africa, pure gli asiatici, accusati di essere loro adesso gli sfruttatori al punto che in Uganda, quando era presidente Idi Amin Dada gli asiatici lì residenti hanno avuto 48 ore di tempo per lasciare il Paese. Gli asiatici, per lo più indiani e pakistani sono commercianti e artigiani, quindi parte di un ceto medio invidiato sul quale è facile riversare la responsabilità della povertà generale».

Gli africani rinfacciano a noi europei il periodo coloniale eppure adesso l’Africa è stata quasi del tutto conquistata dai cinesi. Sembra che a certi la colonizzazione piaccia. Come si spiega?

«In epoca coloniale il potere era in mano alle potenze colonizzatrici; oggi sono i governi autoctoni, ovvero gli africani stessi, che si vendono alla Cina calcolando che gli conviene. Di sicuro conviene ai leader e alla classe politica e imprenditoriale che dai cinesi ottiene molto e conviene anche alla Cina che porta via le materie prime di cui ha bisogno, che comunque paga. Ma la differenza è proprio questa: oggi l’Africa è in mano a governi africani che fanno i loro affari e irresponsabilmente contraggono debiti astronomici che ricadono sulla popolazione. Si pensi che questa estate dei cittadini del Kenya hanno scritto una lettera aperta indirizzata al mondo intero per chiedere che non venissero più concessi prestiti o quantomeno che al momento di restituire il debito ci si rivolgesse ai governanti e non alla popolazione dato che quei prestiti non erano stati chiesti per il popolo». 

Quindi immaginiamo che fine fanno i proventi della vendita delle materie prime…

«Certamente. Quella lettera avrebbe dovuto fare il giro del mondo – e invece ha avuto una eco solo locale – perché riportava quello che in Africa tutti sanno, ovvero chi controlla lo Stato ne controlla le risorse e quasi sempre ne approfitta per il proprio tornaconto personale. Comunque anche la Cina pagherà un prezzo perché i prestiti che elargisce in Africa non saranno restituiti»

Professoressa, ci spieghi cosa sono le Ong...

«Si tratta di organismi che non dipendono e non sono emanazione di governi ma sono create e gestite da privati. Questo non significa che non abbiano rapporto con governi o istituzioni internazionali, come l’Onu, dai quali possono anche ottenere dei finanziamenti. Esse, almeno nelle intenzioni, nascono come organismi non alternativi ma complementari ai governi».

Le Ong sono organizzazioni sempre benemerite? Perché ogni tanto saltano fuori scandali in cui sono coinvolte? Quelli forse più noti ad esempio hanno riguardato le operazioni di salvataggio in mare di clandestini...

«Nelle intenzioni si e loro stesse affermano di agire in ogni ambito in cui sono presenti per il bene. Il guaio è che le Ong pretendono di conoscere le cause di un determinato problema e di sapere come risolverlo, Ma non sempre questo è vero e comunque spesso si crea questa situazione: siccome le Ong per definizione agiscono per il bene guai chiedere conto del loro operato e criticarle e ciò rende difficile il rapporto con certe Organizzazioni non governative. Ad esempio quelle che raccolgono in mare i migranti illegali, in quanto il loro presupposto è che i migranti abbiano tutti i diritti di raggiungere illegalmente la meta che desiderano quando invece qualunque governo al mondo obietta che entrare illegalmente in un Pese è reato e che suo dovere costituzionale è fare in modo che questo non succeda. Oppure pensiamo alle Ong convinte che a causare il riscaldamento globale sia l’attività dell’uomo e pretendendo certe soluzioni, magari anche avvalendosi del parere di certi scienziati, ma ignorando del tutto i molti altri i quali sostengono che il riscaldamento, se c’è, ha cause del tutto naturali e che certe politiche drastiche rischiano di creare danni all’uomo e all’ambiente molto maggiori».

Anche le Ong dunque sono preda delle ideologie?

«Non c’è dubbio che l’ideologia entra molto nelle scelte di parecchie Organizzazioni non governative ma l’ideologia spesso non tiene conto dei fatti e questo è un problema che si è ampliato negli ultimi venti anni. La maggior parte delle Ong si occupano di persone e quando a governare l’azione sono le ideologie a farne le spese sono proprio le persone».

Come mai le Ong sono diventate ideologiche? 

«Il processo è cominciato negli anni Novanta e una grossa responsabilità ce l’hanno avuta le Nazioni unite. Ad un certo punto le Ong non solo sono state presentate come benemerite ma anche come più trasparenti, oneste e di buona volontà dei governi. Soprattutto Kofi Annan durante il suo mandato di segretario generale dell’Onu ha dato loro moltissimo credito chiamandole a partecipare a progetti anche importanti e dando a migliaia di Ong un ruolo consultivo. Egli in patica ha mostrato le Ong come l’espressione più “buona” della popolazione, in antitesi ai governi presentati sostanzialmente in maniera negativa. Questo può essere vero riguardo certi governi ma presentare una Ong che è espressione soltanto di un gruppo di persone delegittimando un governo che è espressione di una intera nazione è quantomeno discutibile. Ci sono governi certamente poco democratici e perfino corrotti ma non si può fare di tutta l’erba un fascio, E comunque questo ha dato alle Organizzazioni non governative un potere che prima non avevano»

Talvolta certe Organizzazioni non governative mandano in missione proprio personale in paesi poveri dove conducono una vita da nababbi, alloggiati in hotel di lusso. Questo rischia di dare una immagine sbagliata dell’Occidente, che diventa una sorta di Eldorado verso il quale si dirige l’emigrazione massiccia di persone che si creano aspettative del tutto sbagliate. Senza parlare del fatto che chi dona soldi alle Ong vorrebbe che questi venissero spesi soprattutto per soccorrere le persone. Cosa ne pensa? 

«In effetti le Ong, ma anche le agenzie umanitarie che si occupano di emergenze nel mondo, contribuiscono a dare l’impressone che i luoghi da dove arrivano siano così ricchi e prosperi da potersi permettere di soccorrere all’infinito chi si trova in difficoltà per guerre o altro. Precisiamo che chi lavora sul serio in situazioni critiche è giusto viva in quei luoghi al meglio possibile, perché così operano meglio. Tuttavia i funzionari di grosse organizzazioni, che dispongono di capitali ingenti, possono talvolta abusarne. Comunque è vero che tutto questo può dare l’impressione che ci sia una parte del mondo in cui vi è talmente benessere che basta arrivarci per poterne usufruire. Inoltre si, c’è anche il caso, per le Ong più grandi, che la maggior parte dei soldi ricevuti in sovvenzioni e donazioni se ne vada per la gestione amministrativa e che di questo qualcuno ne approfitti, fino ad arrivare a certi scandali come quello del Qatar-gate, su cui si sta ancora indagando, dove è già emerso che certe Ong servivano a riciclare denaro. Ci sono scandali pure peggiori, anche se non voglio dare l’impressione che tutto il mondo delle Ong sia da criticare. Uno dei più clamorosi, di carattere sessuale, ha coinvolto persino Medici senza frontiere e Oxfam e purtroppo spesso si viene a conoscenza di personale che approfitta del proprio ruolo per ottenere favori in cambio degli aiuti o ricattare i più fragili, come donne e perfino bambini. Ma ciò che maggiormente dispiace è che più di una volta i responsabili non vengono licenziati ma solo sospesi o traferiti, gettando una ulteriore ombra soprattutto su certe organizzazioni che si considerano al di sopra di tutto».

Dopo tutto quello che abbiamo detto sembra che quello delle Ong non è un gran mondo, ma sappiamo che non è così. Per concludere: in che modo è possibile, se è possibile, distinguere per così dire il grano dalla gramigna?

«Non è facile. Nei confronti delle grandi organizzazioni c’è un certo pregiudizio ma anche le piccolissime possono approfittarsi di chi dona del denaro. La cosa migliore è che ci siano dei seri controlli da parte di chi ha la facoltà di farlo.

Allora alla luce di questo vogliamo chiudere invitando a donare ai missionari cattolici, che degli aiuti fanno sempre un buon uso e con i bisognosi ci vivono, non solo per il tempo necessario a chiudere un progetto.

«Bravissimo. Non mi viene in mente un caso di missionari che abbiano deluso. Per mia esperienza diretta, quando ero in Kenia, ricordo che agivano per il meglio e quello che ricevevano lo utilizzavano. Molti risiedono in zone di guerra o in altri contesti pericolosissimi dove non di rado restano uccisi o gravemente feriti. In ogni caso neppure un euro va sprecato».








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