mercoledì 17 maggio 2023

BOSNIA-ERZEGOVINA, LE TENSIONI POLITICHE ED ETNICHE RIMANGONO DIFFUSE


a cura di Aiuto alla Chiesa che Soffre

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PER LA BOSNIA ED ERZEGOVINA, LA MANCANZA DI UN PROGRAMMA DI DERADICALIZZAZIONE RAPPRESENTA UN SERIO PROBLEMA IN TERMINI DI SICUREZZA


Nel 1995, dopo tre anni di guerra, l’Accordo quadro generale per la pace firmato a Dayton, negli Stati Uniti, stabilì la Bosnia ed Erzegovina (BiH) come una confederazione de facto tra la Federazione di Bosnia-Erzegovina, prevalentemente cattolica e musulmana, corrispondente alle aree occidentale e centrale del Paese, e la Republika Srpska serba, in maggioranza ortodossa, situata nel nord e nell’est. Entrambe le regioni hanno propri presidente, governo, parlamento e forze di polizia. Vi è poi una terza entità, il Distretto di Brčko della Bosnia ed Erzegovina, che si trova nel nord-est del Paese ed è un’unità amministrativa creata nel 1999 e gestita dai governi delle altre due regioni.

Il governo centrale ha una presidenza a rotazione di tre membri (articolo V). L’allegato 4 dell’accordo di Dayton definisce la Costituzione della Bosnia ed Erzegovina. La maggior parte dei cittadini si identifica con uno dei tre principali gruppi etnici del Paese, spesso legati a una particolare religione: croati cattolici, serbi ortodossi e bosgnacchi islamici. Secondo l’ultimo censimento (2013), i bosgnacchi rappresentano il 50,1 per cento della popolazione, i serbi il 30,8 per cento, i croati il 15,4 per cento, gli altri il 3,7 per cento.

In Bosnia ed Erzegovina, Chiesa e Stato sono separati, ai sensi dell’articolo 14 della “Legge sulla libertà religiosa e sulla posizione giuridica delle Chiese e delle comunità religiose in Bosnia ed Erzegovina” del 2004. La normativa tutela la libertà religiosa (articolo 4, paragrafo 1), garantisce lo status giuridico delle Chiese e delle comunità religiose (articolo 2, paragrafo 3) e proibisce ogni forma di discriminazione contro qualsiasi gruppo religioso (articolo 2, paragrafo 1). La stessa fornisce anche la base per le relazioni tra lo Stato e i diversi gruppi religiosi (capitolo IV). L’articolo 16 (paragrafo 1) richiede inoltre che un registro di tutti i gruppi religiosi sia tenuto presso il Ministero della Giustizia, mentre il Ministero dei Diritti Umani e dei Rifugiati è incaricato di documentare le violazioni della libertà religiosa. La legge del 2004 riconosce anche quattro comunità e Chiese religiose tradizionali: la comunità islamica, la Chiesa ortodossa serba, la Chiesa cattolica romana e la comunità ebraica (articolo 8, paragrafo 2).

Secondo la legge, qualsiasi gruppo di 300 adulti può registrarsi per essere riconosciuto come una nuova Chiesa o comunità religiosa, previa presentazione di una domanda scritta al Ministero della Giustizia (articolo 18, paragrafi 1 e 2). Il Ministero della Giustizia deve emettere una decisione entro 30 giorni dalla domanda, e in caso di rifiuto si può fare appello al Consiglio dei Ministri. La norma ribadisce altresì il diritto di ogni cittadino all’educazione religiosa. I rappresentanti ufficiali delle varie Chiese e comunità religiose sono responsabili dell’insegnamento delle materie religiose in tutte le scuole materne pubbliche e private, nelle scuole primarie e negli istituti di istruzione superiore (articolo 4, paragrafo 1). L’Accordo di base tra la Santa Sede e la Bosnia ed Erzegovina è stato firmato il 19 aprile 2006 ed è entrato in vigore il 25 ottobre 2007. L’accordo riconosce la personalità giuridica pubblica della Chiesa cattolica (articolo 2) e concede a questa una serie di diritti, tra cui il diritto di istituire scuole (articolo 14, paragrafo 1) e organizzazioni di beneficenza (articolo 17, paragrafo 1), impartire l’istruzione religiosa in tutte le scuole (articolo 16, paragrafo 1), e riconosce ufficialmente le principali feste cattoliche (articolo 9, paragrafo 1). L’accordo prevede anche la creazione di una Commissione mista per affrontare ulteriori questioni (articolo 18, paragrafo 2).

Il 6 gennaio 2010, la comunità islamica ha presentato una bozza di proposta d’intesa con lo Stato. Nel 2015 la bozza di proposta è stata approvata dal Consiglio dei Ministri e inviata alla Presidenza per l’approvazione finale, ma il testo definitivo non è ancora stato implementato. Sebbene le principali obiezioni all’accordo non siano mai state rese pubbliche, si ritiene che la presidenza non riesca a trovare un’intesa sulla scelta fra i termini «rispetto» e «garanzia» presenti in alcuni articoli dell’accordo. I colloqui sono ancora in corso. Nell’aprile 2010, la Santa Sede e il governo della Bosnia ed Erzegovina hanno firmato un altro accordo relativo ai membri cattolici delle forze armate. Il 3 dicembre 2007, le autorità bosniaco-erzegovine avevano firmato un accordo simile con la Chiesa ortodossa serba, ma questo non è stato ancora attuato. Sotto il regime comunista, lo Stato sequestrava i beni posseduti e gestiti dalle Chiese e dalle comunità religiose. 

La “Legge sulla libertà di religione” (articolo 12, paragrafo 3) ne dà atto, riconoscendo il diritto delle comunità religiose alla restituzione delle proprietà religiose loro espropriate. Tuttavia, a differenza di altre ex repubbliche jugoslave, il Parlamento della Bosnia ed Erzegovina non ha ancora legiferato in materia e finora molto poco è stato restituito alle varie comunità. Nel marzo 2020, il cardinale Vinko Puljić, arcivescovo di Vrhbosna (Sarajevo), ha dichiarato che le comunità religiose bosniaco-erzegovine si aspettano che venga adottata una legge sulla restituzione, soprattutto perché i beni sono stati distrutti o ingiustamente sequestrati dallo Stato. La fondazione di un Consiglio interreligioso nel 1997 ha rappresentato un punto di svolta nella storia religiosa del Paese. L’organismo è tuttora attivo e mira a fornire una base autentica per la stima reciproca, la cooperazione e la libertà all’interno della nazione. 

In un Paese in cui le tensioni politiche ed etniche rimangono diffuse, i gruppi religiosi e i membri del clero sono sottoposti a un particolare livello di violenze. I crimini d’odio e gli atti di vandalismo contro siti e simboli religiosi sono in aumento, e non vi è alcun tipo di conseguenza per gli autori, poiché le autorità si sono dimostrate incapaci di migliorare le condizioni di sicurezza.  Durante il periodo in esame 2020-22 sono stati registrati diversi episodi rilevanti. Questi includono un attacco compiuto nel marzo 2019 contro una chiesa cattolica a Gradačac, e un attacco commesso nel giugno dello stesso anno ai danni della chiesa ortodossa di San Sava a Blažuj, nella periferia della capitale Sarajevo. 

Nell’agosto 2019, alcuni ecclesiastici ortodossi hanno riferito di aver ricevuto minacce di morte a Mostar, ma poiché non è stata svolta alcuna indagine, è impossibile sapere se si trattasse di un atto a sfondo religioso. Anche le moschee sono state prese di mira. Ad esempio, nel giugno 2019 sono apparsi graffiti antislamici sulla moschea Atik a Bijeljina, mentre nel luglio 2019 sono state lanciate delle pietre contro la moschea Riječanska a Zvornik. Nello stesso mese sono state vandalizzate anche delle lapidi musulmane. All’inizio del 2020, le finestre della moschea Čaršijska di Bosanska Dubica sono state infrante, e non si è trattato della prima volta che si verificava un simile episodio. 

Il 1° ottobre 2019, la Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha ordinato alle autorità bosniaco-erzegovine di rimuovere una chiesa serbo-ortodossa che era stata costruita su un terreno di proprietà di Fata Orlović, una musulmana di 77 anni, dopo che la donna e la sua famiglia erano state costrette a fuggire dal loro villaggio nella Bosnia-Erzegovina orientale durante la guerra civile. Nel gennaio 2020 è stato vandalizzato il cimitero cattolico Veresika di Tuzla. L’islamismo è una sfida importante per il Paese balcanico. 

Il Consiglio dei Mufti della Bosnia ed Erzegovina ha cercato di incorporare gruppi salafiti non registrati, i cosiddetti para-jamaat, che operano al di fuori della giurisdizione della Comunità islamica ufficiale. Circa 21 di questi gruppi esistevano nel 2019, in calo rispetto ai 64 del 201623. A partire dal 2012, centinaia di bosniaci si sono uniti al gruppo dello Stato Islamico (IS) in Iraq e Siria. Nel dicembre 2019, un gruppo di 25 di loro è stato rimpatriato, tra cui sei donne e 12 bambini. Secondo l’ufficio del procuratore della Bosnia-Erzegovina, tutti gli uomini sarebbero stati processati con l’accusa di terrorismo. Le donne e i bambini sono stati invece sottoposti a controlli medici e di sicurezza. Per la Bosnia ed Erzegovina, la mancanza di un programma di deradicalizzazione rappresenta un serio problema in termini di sicurezza. 

Nel periodo in esame 2020-22, a Jajce, si è inoltre acceso un contenzioso tra la Chiesa cattolica e la comunità islamica in merito alle rovine della chiesa di Santa Maria e del campanile di San Luca. In seguito alla conquista ottomana della Bosnia, la chiesa fu trasformata in moschea, ma dopo diversi incendi, fu lasciata in rovina a metà del XIX secolo. Oggi sia i cattolici che i musulmani rivendicano il sito, classificato come monumento nazionale.

La Bosnia ed Erzegovina affronta anche un serio problema relativo alla continua emigrazione. Numerosi individui e intere famiglie stanno lasciando il Paese per cercare un futuro migliore all’estero. Se la tendenza dovesse continuare, l’ONU prevede che entro il 2050 nel Paese rimarrebbero poco più di tre milioni di persone. Il fenomeno ha implicazioni anche in ambito religioso, giacché incide sulle dimensioni dei tre principali gruppi etnico-religiosi bosniaco-erzegovini. L’emigrazione riguarda in particolar modo la popolazione cattolica del Paese, e soprattutto i giovani. Secondo il cardinale Vinko Puljić, arcivescovo di Vrhbosna, ogni anno fino a 10.000 cattolici lasciano la Bosnia ed Erzegovina.

La Bosnia-Erzegovina è un Paese profondamente diviso ed è ben lungi dall’essere economicamente e politicamente stabile. È improbabile che nei prossimi due anni i diritti umani, inclusa la libertà religiosa, possano trovare un terreno fertile in un Paese in cui l’identità etno-religiosa è cruciale. Molti combattenti islamici stranieri, giunti negli anni Novanta per combattere a fianco dei musulmani bosgnacchi durante la guerra civile, sono rimasti nel Paese. Tali elementi tendono a seguire l’Islam wahabita, sono molto conservatori e ricevono finanziamenti da fondazioni caritatevoli saudite. Ciò ha portato a dispute e scontri tra i musulmani locali, più moderati, e gli stranieri con una visione più radicale dell’Islam. Anche il ritorno dei combattenti bosniaci che si sono uniti al gruppo dello Stato Islamico in Bosnia è fonte di preoccupazione. Nel gennaio 2020, la presidenza dello Stato ha deciso di permettere ai propri cittadini di tornare a casa. Al tempo stesso, in base a una legge che ha reso la partecipazione a guerre straniere un reato penale, a partire dal gennaio 2020 i tribunali locali hanno processato e condannato 26 foreign fighters bosniaco-erzegovini dell’IS. 

L’immigrazione di massa è un’altra seria minaccia alla stabilità e alla sicurezza, con quasi un milione di migranti in attesa ai confini del Paese. Nel gennaio 2020, circa 50.000 migranti provenienti da Afghanistan, Iraq, Siria e altri Paesi mediorientali si trovavano in Bosnia ed Erzegovina, mentre altri 30.000 erano arrivati nei 12 mesi precedenti da Serbia e Montenegro. Confini porosi, guardie di frontiera mal equipaggiate e mal retribuite e uno Stato disfunzionale comprometteranno seriamente la capacità della Bosnia ed Erzegovina di resistere a un gran numero di nuovi arrivati, soprattutto perché i gruppi del crimine organizzato sono coinvolti nel traffico di esseri umani. La somma di queste pressioni in una società estremamente frammentata comporta che le condizioni già critiche della libertà religiosa diventeranno ancor più precarie. Sebbene storicamente cristiani e musulmani abbiano sempre vissuto insieme in relativa pace, la crescente emigrazione di giovani famiglie cattoliche, unita all’aumento dei gruppi islamici fondamentalisti sostenuti dall’estero (nonostante gli sforzi dei musulmani locali per mitigare l’influenza di questi gruppi stranieri), prefigura un futuro tetro per la libertà religiosa.

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