venerdì 20 ottobre 2023

IRAN, LO STATO E' SOTTO L'AUTORITA' DEL CLERO SCIITA, CHE GOVERNA CON IL RAHBAR-E MO'AZZAM-E IRĀN


di Aiuto alla Chiesa che Soffre



L’Iran è una Repubblica Islamica basata su una Costituzione teocratica adottata in seguito alla rivoluzione islamica che rovesciò lo scià nel 1979. L’articolo 12 della Costituzione afferma che la scuola islamica dello sciismo Ja’fari è la religione ufficiale del Paese. L’articolo 13 riconosce i cristiani, gli ebrei e gli zoroastriani come minoranze religiose protette, con il diritto di praticare liberamente il culto e di costituire società religiose: «Gli iraniani zoroastriani, ebrei e cristiani sono le uniche minoranze religiose riconosciute, le quali, entro i limiti della legge, sono libere di compiere i propri riti e cerimonie religiose e di agire secondo i propri princìpi in materia di affari personali e di educazione religiosa». Due seggi del Parlamento iraniano (Majlis) sono riservati ai cristiani armeni – la più grande minoranza cristiana del Paese (300.000 fedeli) – mentre cristiani assiri, ebrei e zoroastriani hanno diritto ad un seggio ciascuno. Lo Stato è posto sotto l’autorità del clero sciita, che governa attraverso il Rahbar-e mo’azzam-e irān, la Guida Suprema dell’Iran, nominata a vita dall’Assemblea degli Esperti, che si compone di 86 teologi eletti dal popolo per un mandato di otto anni. Il Rahbar presiede il Consiglio dei Guardiani della Costituzione, un organo di 12 membri (sei nominati dalla Guida Suprema e sei dalla magistratura). Il Consiglio esercita il controllo sulle leggi e sugli organi di governo dello Stato, inclusa la presidenza, il cui titolare è eletto con voto diretto per un mandato di quattro anni, rinnovabile una sola volta. In Iran, uno dei principali ostacoli alla piena libertà religiosa è il reato di apostasia. Il governo considera musulmano qualsiasi cittadino che non possa dimostrare che lui o la sua famiglia erano cristiani prima del 1979. La conversione dall’Islam ad un’altra religione non è esplicitamente vietata nella Costituzione o nel Codice Penale, ma è di fatto punita a causa delle ben salde tradizioni islamiche del Paese e del sistema giuridico, fondato sulla shari’a (legge islamica). Per tutti i casi non menzionati esplicitamente nella Costituzione, i giudici hanno infatti la possibilità, ai sensi dell’articolo 167, di fare riferimento a «fonti islamiche autorevoli o fatawa [fatwa] autentiche». Nei casi di apostasia, le sentenze si basano quindi sulla shari’a e sulle fatwa e possono comportare la pena di morte. I convertiti al Cristianesimo non possono registrarsi legalmente come cristiani e non hanno gli stessi diritti dei membri riconosciuti delle comunità cristiane. Il Codice Penale del Paese contiene disposizioni contro la blasfemia. L’articolo 513 dispone: «Chiunque insulti i valori sacri dell’Islam o uno qualsiasi dei Grandi Profeti o dei [dodici] Imam sciiti o la Santa Fatima, se considerato come Saab ul-nabi [ovvero come colui che ha commesso azioni che giustificano la pena dell’hadd per aver insultato il Profeta], sarà giustiziato; altrimenti sarà condannato a una pena detentiva da uno a cinque anni». L’articolo 514 recita: «Chiunque, con qualsiasi mezzo, insulti l’Imam Khomeini, il fondatore della Repubblica Islamica, e/o la Guida Suprema sarà condannato a una pena detentiva da sei mesi a due anni». Nel febbraio 2021, lo Stato iraniano ha emendato gli articoli 499 e 500 del Codice Penale, ampliando l’ambito di perseguibilità dei cristiani, in particolare dei convertiti dall’Islam al Cristianesimo. Durante il periodo in esame, il governo iraniano ha continuato a imporre il codice di abbigliamento islamico. In pubblico, le donne di tutti i gruppi religiosi sono tenute a rispettare tale codice, che comprende la copertura del corpo e dei capelli con l’hijab o, in alternativa, con il chador. Episodi rilevanti e sviluppi Nel novembre 2020, i Relatori Speciali delle Nazioni Unite hanno stimato il numero di cristiani iraniani in 250.000, sebbene altre fonti indichino un totale compreso tra i 500.000 e gli 800.000. In ogni caso, la comunità rappresenta una minuscola minoranza, la cui maggioranza è costituita da cristiani di etnia assira e armena, mentre il resto è composto da convertiti dall’Islam, in prevalenza seguaci di Chiese protestanti, incluse le chiese domestiche. I membri di comunità riconosciute, come gli zoroastriani, gli ebrei e i cristiani delle Chiese tradizionali, possono praticare il loro culto entro rigidi limiti. Qualsiasi attività di evangelizzazione è illegale. I cristiani convertiti dall’Islam rimangono uno dei gruppi maggiormente presi di mira nel Paese, sono visti con profondo sospetto e percepiti come un tentativo da parte dei Paesi occidentali di minare l’Islam e il regime islamico dell’Iran. Le chiese domestiche iraniane sono sempre più diffuse «a causa della chiusura dei luoghi di culto cristiani, della mancanza di licenze statali per la costruzione di nuove chiese, o perché l’accesso alle chiese ufficiali è limitato ai soli cristiani armeni e assiri. Le abitazioni che ospitano le chiese domestiche vengono cambiate regolarmente per evitare che i fedeli vengano scoperti». L’11 novembre 2020, è stata presentata al governo iraniano una lettera formale da parte di sei esperti in materia di diritti delle Nazioni Unite, tra cui Ahmed Shaheed, Relatore speciale sulla libertà religiosa o di credo, e Javaid Rehman, Relatore speciale sui diritti umani in Iran. La missiva segnalava la «persecuzione dei membri della minoranza cristiana in Iran, inclusi i convertiti dall’Islam, nonché la detenzione di decine di cristiani, la maggior parte dei quali è stata condannata per aver esercitato il diritto di osservare e praticare liberamente la propria religione». Nel gennaio 2021, rispondendo alla lettera dei Relatori, il governo iraniano ha definito le chiese domestiche «gruppi nemici» con «scopi pericolosi per la sicurezza». Le autorità di Teheran hanno dichiarato che «nessuno è perseguito per motivi religiosi» e che i membri della minoranza cristiana in Iran, inclusi i convertiti dall’Islam, che sono stati denunciati, in realtà stavano «collaborando con il Sionismo evangelico in modo da favorire sentimenti ostili, provocare contrasti con le istituzioni islamiche e compiere atti sovversivi contro di esse attraverso la creazione di culti organizzati e lo svolgimento di riunioni illegali e segrete volte a ingannare i cittadini e sfruttare le persone più suggestionabili, in particolare i bambini». Un rapporto annuale del 2021 di “Articolo 18”, un’organizzazione no-profit con sede a Londra che difende la libertà religiosa in Iran, ha documentato «oltre 120 episodi di arresto, detenzione o incarcerazione di convertiti cristiani, che rappresentano la più grande comunità cristiana dell’Iran». Di rilievo nell’ambito del giro di vite sui cristiani di lingua persiana è stato l’operato del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell’Iran (IRGC), «responsabile di 12 dei 38 episodi documentati di arresti di cristiani o di irruzioni nelle loro case o nelle chiese domestiche». Il 19 febbraio 2021, il Presidente iraniano Hassan Rouhani ha firmato due controversi emendamenti al Codice Penale, che rappresentano «un attacco in piena regola al diritto alla libertà di religione e di credo». L’emendamento all’articolo 499 «prevede fino a cinque anni di reclusione per “chiunque insulti le etnie iraniane o le religioni divine o le scuole di pensiero islamiche riconosciute dalla Costituzione con l’intento di provocare violenze o tensioni nella società o con la consapevolezza che tali [conseguenze] possano derivare dai suoi gesti”». L’articolo 500, così come modificato, «prevede fino a cinque anni di reclusione per “qualsiasi attività educativa o di proselitismo deviante” da parte di membri delle cosiddette “sette” che “contraddica o interferisca con la legge sacra dell’Islam” attraverso “metodi di controllo mentale e indottrinamento psicologico” o “mediante affermazioni false o menzogne in ambito religioso e islamico, come ad esempio rivendicare la divinità”». A febbraio, 11 famiglie cristiane sono state convocate e interrogate dalle autorità. In seguito è stato intimato loro di interrompere le riunioni della loro chiesa domestica. Sono stati inoltre diffidati dallo scambiarsi visite nelle rispettive abitazioni, anche per incontri di carattere sociale. Ad aprile, è stato riferito che le autorità iraniane stavano vietando ad alcuni baha’í di seppellire i propri familiari nel cimitero di Golestan Javid, vicino a Teheran, che la comunità utilizzava da decenni. Al contrario, il governo ha insistito affinché i fedeli baha’í venissero sepolti tra le tombe esistenti all’interno del cimitero, o nella vicina fossa comune di Khavaran per le vittime dei massacri avvenuti in carcere nel 1988. La comunità baha’í si è opposta con forza, in quanto considera la sepoltura nella fossa comune di Khavaran una profanazione del sito. In seguito, il governo ha revocato la propria decisione. Ad aprile, quattro convertiti cristiani, Hojjat Lotfi Khalaf, Esmaeil Narimanpour, Alireza Varak-Shah e Mahammad Ali Torabi, sono stati arrestati nella città di Dezful. In agosto erano stati accusati di «propaganda contro la Repubblica Islamica» a causa della loro appartenenza a una chiesa domestica. Il 22 aprile, due uomini, Yusef Mehrdad e Seyyed Sadrollah Fazeli Zare, sono stati condannati da un tribunale penale dell’Iran centrale per «insulto al Profeta Maometto» e «blasfemia», che comportano la pena di morte. Non è chiaro su cosa si siano fondate le accuse. La sentenza è stata confermata dalla Corte Suprema dell’Iran nell’agosto 2021. Secondo “Iran Human Rights Monitor”, «il regime iraniano utilizza apertamente la pena di morte come forma di punizione. In molti casi, ai membri delle minoranze religiose ed etniche e ai dissidenti politici viene comminata la pena di morte in modo discriminatorio». A giugno, il visto di Suor Giuseppina Berti, settantacinquenne missionaria italiana delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, non è stato rinnovato. Suor Giuseppina aveva lavorato per 26 anni al servizio dei malati di lebbra a Tabriz. 

Sempre a giugno, sebbene il loro appello per un nuovo processo fosse stato respinto, i convertiti cristiani Homayoun Zhaveh e sua moglie Sara Ahmadi hanno comunque ottenuto di posticipare l’ingresso in carcere di trenta giorni. Nel novembre 2020, erano stati condannati rispettivamente a 2 e 11 anni di carcere per appartenenza a una chiesa domestica. La pena di Sara è stata ridotta a 8 anni nel dicembre 2020. Nello stesso mese, la libertà condizionale di Nasser Navard Gol-Tapeh è stata rifiutata senza alcuna spiegazione. Gol-Tapeh, cristiano, era stato condannato a 10 anni di carcere a causa della sua partecipazione a una chiesa domestica, considerata una minaccia alla sicurezza nazionale. Un rapporto pubblicato nel mese di giugno dalla “Norwegian Landinfo”, riguardante il perseguimento penale dei convertiti cristiani negli ultimi due o tre anni, ha riscontrato che «alcuni di coloro che hanno ricevuto le pene più severe (da 2 a 10 anni di carcere) sono stati condannati per aver guidato e organizzato delle chiese domestiche. Anche intrattenere relazioni con le comunità missionarie all’estero è rischioso, poiché la diffusione della fede cristiana è considerata opera di Stati nemici. Inoltre, diversi detenuti sono membri della rete della Chiesa dell’Iran, ripetutamente presa di mira dal governo». A settembre, i cristiani iraniani Amin Khaki, Milad Goudarzi e Alireza Nourmohammadi si sono visti ridurre la pena detentiva a tre anni dalla Corte d’Appello del Tribunale Rivoluzionario di Karaj. A giugno, i tre membri della Chiesa dell’Iran erano stati condannati inizialmente a cinque anni di carcere per «propaganda contro il regime islamico» e avevano subìto anche un processo per «attività settarie». A novembre, la Corte Suprema dell’Iran ha stabilito che nove convertiti cristiani coinvolti nelle chiese domestiche non avrebbero dovuto essere condannati con l’accusa di aver agito contro la sicurezza dello Stato, perseguibile ai sensi degli articoli 498 e 499 del Codice Penale. La massima Corte del Paese ha dichiarato che «la semplice predicazione del Cristianesimo e la promozione della “setta evangelica sionista”, che apparentemente implicano entrambe la diffusione del Cristianesimo attraverso le riunioni familiari [le chiese domestiche], non costituiscono una prova di riunione e di collusione nell’intento di turbare la sicurezza del Paese, sia internamente che esternamente». Nel febbraio 2022, un tribunale di Teheran ha assolto i nove convertiti cristiani. L’ottimismo iniziale, tuttavia, si è dissipato dopo che ai danni di due degli assolti sono state formulate nuove accuse di propaganda, e dopo che uno di loro è stato nuovamente incarcerato sulla base di accuse per le quali era stato in precedenza assolto. Nel dicembre 2021, sono stati confiscati 13 appezzamenti di terreno agricolo nel villaggio di Kata, nella provincia di Kohgiluyeh e Boyer-Ahmad. Questi episodi sono esempi di un numero crescente di confische di proprietà baha’í. 2022 Nel gennaio 2022, due convertiti cristiani, Habib Heydari e Sasan Khosravi, sono stati scarcerati. I due avevano scontato la pena detentiva di un anno per aver fatto parte di una chiesa domestica. Nello stesso mese, lo studente baha’í Kasra Shoai non è stato autorizzato a studiare presso l’Università di Scienze Applicate di Zahedan a causa della sua fede. Sempre a gennaio, alcune organizzazioni finanziate dallo Stato hanno tenuto un workshop per allestire manifesti e opere grafiche di propaganda contro la comunità bahá’í. A gennaio, il Pastore Matthias (Abdulreza Ali) Hagnejad è stato di nuovo arrestato, due settimane dopo essere stato liberato in attesa della revisione della sentenza di condanna a cinque anni di carcere. Il religioso è stato scarcerato alla fine di dicembre 2021 dopo quasi tre anni di detenzione con l’accusa di «mettere in pericolo la sicurezza dello Stato» e di «promuovere il Cristianesimo sionista». Altri otto membri della Chiesa dell’Iran sono stati arrestati nello stesso periodo. Nello stesso mese, otto convertiti cristiani sono stati convocati dalle autorità, sono stati costretti a rinnegare la propria fede e obbligati a partecipare a sessioni di «rieducazione ideologica». A febbraio, la convertita cristiana Sakineh Behjati è stata convocata dal Pubblico Ministero e dal Tribunale Rivoluzionario del Distretto 12 di Teheran che le ha comminato una pena detentiva di due anni. La Behjati era accusata di pubblicità contro lo Stato e di aver agito contro la sicurezza nazionale.

Nel febbraio 2022, due convertiti cristiani di Teheran hanno visto respinta la loro richiesta di un nuovo processo dopo che erano stati condannati a pene detentive per aver praticato il proprio culto. Il 16 febbraio, Hadi Rahimi e Sakineh Behjati sono stati convocati per scontare le loro condanne rispettivamente a quattro e due anni, dopo che la Sezione 9 della Corte Suprema aveva respinto il loro appello. I due sono stati condannati al carcere dalla Sezione 26 del Tribunale Rivoluzionario di Teheran nell’agosto 2020 con l’accusa ufficiale di «appartenenza a gruppi che cercano di turbare la sicurezza nazionale». È molto probabile che la coppia sia stata arrestata perché frequentava una chiesa domestica. Nello stesso mese, dei convertiti cristiani della città occidentale di Dezful, che erano stati scagionati da ogni accusa nel novembre 2021, sono stati costretti a seguire «corsi di rieducazione», ovvero dieci sedute obbligatorie con chierici islamici al fine di essere riconvertiti all’Islam. A marzo, il detenuto sunnita Hamzeh Darvish è stato condannato a 25 mesi di carcere per «dichiarazioni offensive contro la Guida Suprema dell’Iran» e «propaganda contro il regime». Questa sentenza si è aggiunta a una pena detentiva di 15 anni che Darvish aveva iniziato a scontare nello stesso anno. Sempre a marzo, nove convertiti cristiani, precedentemente accusati di «agire contro la sicurezza nazionale» e «promuovere il Cristianesimo sionista», sono stati assolti da una Corte d’Appello. I giudici Seyed Ali Asghar Kamali e Akbar Johari hanno affermato che vi erano «prove insufficienti» per dimostrare che gli accusati avevano agito contro la sicurezza dello Stato e hanno sostenuto che ai cristiani viene insegnato a vivere in «obbedienza, sottomissione e sostegno delle autorità». Ad aprile, le autorità, con la partecipazione di membri delle Guardie Rivoluzionarie, hanno distrutto una moschea sunnita a Zahedan. Nello stesso mese, il Pastore iraniano Yousef Nadarkhani, convertitosi dall’Islam al Cristianesimo, è stato temporaneamente rilasciato dal carcere di Evin a Teheran, dopo aver scontato una condanna di sei anni. 

Ad aprile, un cimitero baha’í nella provincia di Hamedan è stato in parte distrutto da persone non identificate. Secondo “Iran Press Watch”, «negli ultimi anni, sono stati demoliti altri cimiteri baha’í in varie città, tra cui Qorveh, Sanandaj, Kerman, Shiraz e Urmia». A maggio, un tribunale rivoluzionario di Teheran ha condannato il cristiano iraniano-armeno Anooshavan Avedian a 10 anni di carcere e a 10 anni di «privazione dei diritti civili» per aver insegnato a dei cristiani nella sua abitazione. Altri tre cristiani sono stati condannati alla prigione, o all’esilio, dopo essere stati accusati di aver costituito una “chiesa domestica”. I convertiti cristiani Abbas Soori, 45 anni, e Maryam Mohammadi, 46 anni, sono stati privati dei diritti civili per 10 anni e multati. In aggiunta, è stato loro vietato di lasciare l’Iran. Nello stesso mese, sette cristiani sono stati condannati al carcere, tra cui il pastore iraniano-armeno Joseph Shahbazian, condannato a 10 anni di prigione con l’accusa di aver agito contro la sicurezza nazionale. Altri sei convertiti cristiani sono stati condannati a pene comprese tra uno e sei anni di carcere per aver guidato o fatto parte di chiese domestiche. A giugno, il Tribunale Rivoluzionario di Shiraz ha condannato 26 baha’í ad un totale di 85 anni di detenzione con l’accusa di «assembramento e collusione al fine di turbare la sicurezza nazionale interna ed esterna». Durante il periodo in esame, vi sono state numerose segnalazioni di bahaisti arrestati a causa della loro fede. A luglio, tre convertiti cristiani che stavano già affrontando cinque anni di carcere per «propaganda e diffusione di credenze devianti contrarie alla sacra Shari’a» sono stati informati che sarebbero tornati in tribunale per affrontare un secondo processo con identiche accuse. Una Corte d’Appello aveva confermato la sentenza a giugno. Ad agosto, la Commissione degli Stati Uniti sulla Libertà Religiosa Internazionale (USCIRF) ha affermato che il governo iraniano stava attivamente incitando «l’opinione pubblica ad essere sprezzante» contro il Cristianesimo e le altre fedi, utilizzando i media iraniani per diffondere la propaganda religiosa. Il comitato consultivo federale bipartisan ha affermato che la propaganda dello Stato iraniano contro i convertiti cristiani è spesso mascherata da antisionismo, e i convertiti cristiani sono regolarmente indicati come membri di una rete «sionista».

Ad agosto, alcuni agenti della sicurezza e dell’intelligence hanno «demolito almeno otto case appartenenti a famiglie baha’í nella provincia di Mazandaran e confiscato 20 ettari dei loro terreni». Coloro che hanno cercato di opporsi sono stati arrestati. Il 22 agosto alcuni esperti delle Nazioni Unite per le Procedure Speciali del Consiglio dei Diritti Umani hanno dichiarato: «Siamo profondamente preoccupati per l’aumento degli arresti arbitrari di membri della comunità baha’í, per le loro sparizioni forzate e per la distruzione o la confisca delle loro proprietà. Questi elementi dimostrano un’evidente politica di persecuzione sistematica». Gli esperti ONU hanno evidenziato che «oltre 1.000 baha’í sono in attesa di essere incarcerati, dopo i loro arresti iniziali e le udienze a loro carico» e che dal luglio 2022 «gli agenti di sicurezza hanno fatto irruzione nelle case di oltre 35 baha’í in varie città e hanno arrestato diverse persone in tutto il Paese». Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, «non si è trattato di atti isolati, ma la prova di una politica più ampia volta a colpire qualsiasi credo o pratica religiosa dissenziente, compresi i convertiti cristiani, i dervisci Gonabadi e gli atei». Il 16 settembre, sono scoppiate proteste a livello nazionale dopo la morte di una donna di 22 anni, Mahsa Amini, mentre si trovava sotto la custodia della polizia morale, dopo essere stata picchiata per il mancato rispetto del codice di abbigliamento relativo all’hijab (velo). Lo slogan principale dei manifestanti è stato “Donne, Vita, Libertà”, una richiesta di uguaglianza e contro il fondamentalismo religioso. Si sono svolte anche delle contromanifestazioni con i partecipanti che hanno scandito slogan come «I trasgressori del Corano devono essere giustiziati». In un primo momento a scendere in piazza sono state soprattutto le donne per protestare contro l’obbligo di indossare il velo, spesso bruciandolo pubblicamente. Successivamente, però, molti uomini si sono uniti alla protesta, che è passata dal rifiuto di indossare l’hijab al più ampio dissenso contro il regime della Repubblica islamica. Al momento della stesura di questo rapporto, le forze di sicurezza «hanno ucciso almeno 448 persone, tra cui 60 bambini e 29 donne, e hanno effettuato fino a 17.000 arresti». Secondo quanto riferisce il quotidiano The Guardian, la «maggior parte delle vittime» sembra provenire dal nord-ovest, dove le autorità stanno reprimendo le rinnovate violenze di una campagna separatista curda di lunga data, e dal sud-est, dove sono riprese le ostilità nella regione del Baluchistan e i gruppi armati sunniti si ribellano alla discriminazione da parte dello Stato sciita. Il 24 novembre, in seguito alle richieste dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Türk, il Consiglio dei diritti umani ONU ha ordinato una missione d’inchiesta per indagare sulle proteste. Il 2 dicembre, gli Stati Uniti hanno designato l’Iran come Paese che desta particolare preoccupazione ai sensi della Legge sulla Libertà Religiosa. Il 4 dicembre, il pubblico ministero iraniano ha dichiarato che «la polizia morale è stata “sospesa”, il che suggerisce che la politica delle autorità – adottata fin dall’inizio delle proteste – di chiudere un occhio sulle donne che non indossano l’hijab è diventata permanente». Il 25 novembre, secondo un rapporto interno «compilato dal regime e reso pubblico da hacker che si fanno chiamare Black Reward, il 51 per cento degli iraniani vuole che l’hijab sia una questione di scelta personale e il 56 per cento si aspetta che le proteste continuino». Prospettive per la libertà religiosa Nel periodo in esame, le comunità religiose di minoranza, che includono i cristiani (in particolare i convertiti cristiani), i baha’í, i musulmani sunniti e i non credenti, hanno subìto discriminazioni e persecuzioni. Esempi di queste violazioni hanno incluso danni alle loro proprietà, lesioni fisiche e persino uccisioni. Il quadro giuridico è peggiorato nel febbraio 2021, quando il Presidente Hassan Rouhani ha approvato gli emendamenti agli articoli 499 e 500 del Codice Penale, introducendo pene detentive per i colpevoli di «insulto all’Islam» e «attività devianti» che «contraddicono o interferiscono con la legge sacra dell’Islam». L’Iran si trova nuovamente ad un bivio. A più di quarant’anni dalla rivoluzione, il sentimento di condanna suscitato dalla morte di Mahsa Amini si è trasformato in proteste in tutto il Paese che rivendicano l’abolizione della Repubblica islamica. Resta da vedere se le proteste porteranno a passi riformisti o a una maggiore oppressione. Di conseguenza, le prospettive per la libertà religiosa sono negative e la situazione è destinata a peggiorare. 



Foto di Gerd Altmann da Pixabay

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